Sono seduta sul divano. La luce è spenta. C’è silenzio, quello giusto per poter pensare.
Il 4 maggio finirà il lockdown ma dentro di me alberga tutt’altro che serenità.
L’ultima conferenza del presidente del consiglio non ha aggiunto nulla che già non sapessimo anzi ha omesso come al solito, temi importanti. È incerto sulla scuola e la parola spettacolo non è neanche nominata. Cultura e arte rimandate a data da destinarsi.
Non so, sono perplessa. C’è chi grida alla dittatura, chi dice invece, che questo sia necessario, chi si lamenta per la chiusura, chi per la riapertura.
Non deve essere facile, immagino, comunicare con 60 milioni di persone e convincerle tutte. Convincerle che ciò che stai facendo è per un bene comune, per la salute di tutti, per l’incolumità del singolo. Non per controllare, spiare, dominare.
Eppure, dopo due mesi di cattività sono più confusa di marzo.
La situazione economica è disastrata, il futuro è appeso ad un filo e tutti noi ci sentiamo come i trapezisti di un circo. Quelli che attraversano una fune da un capo all’altro sospesi a metri da terra, senza protezione, con la bicicletta monoruota e un asse in mano. Per rendere l’idea.
A volte, in questi giorni, in cui le risposte non arrivano e le domande sono sempre di più, anche i dubbi aumentano.
Ho apprezzato il lavoro di Conte durante l’emergenza ma ora…ora anche la mia fede inizia a vacillare.
Ci stanno prendendo in giro?
Stanno giocando con la nostra paura e la nostra capacità di suggestione? Oppure si deve fare così veramente per tutelarci? A che prezzo?
Sarà tutto diverso dalla settimana prossima. Cammineremo con in mano la lista delle cose che possiamo fare e che non possiamo fare. Tanta confusione. Tanto dispiacere. E soprattutto tanta disperazione tra di noi. Riaprono i bar, i ristoranti, il commercio al dettaglio. Riaprono biblioteche e musei. Esiste una parola per tutti: estetiste, parrucchiere, palestre ma di cinema e teatro nessuno sa niente, nessuno dice nulla. Comprendiamo le difficoltà oggettive nel riaprire luoghi che richiedono un ovvio assembramento ma almeno citarli.
Anche solo per dire: – Non vi abbiamo dimenticati. Sappiamo che è un grave problema e stiamo cercando di capire come risolverlo senza creare troppi danni. Per tutti voi, lavoratori dello spettacolo e per questo fondamentale settore- .
Sono una mamma, so quanto i miei figli ripongano in me ogni aspettativa di sicurezza. Quando mi guardano e senza parlare, con i loro occhi, mi dicono: “aiutami, ti prego. Puoi farlo solo tu”.
L’immagine è quella di un piccolo che si addormenta sul petto della madre. Allo stesso modo vorremmo sentirci noi, protetti. E sapere di poter contare su qualcuno che verrà a tirarci su quando cadremo. Come una mamma fa.
E invece no e questo mi fa sentire completamente vulnerabile, scoperta, indifesa. Abbandonata. Come credo si sentano altre categorie di lavoratori poco tutelati in questo difficile momento.
L’Italia non è un paese che ama la verità. Ognuno tira acqua al proprio mulino e affidarsi è un’ardua impresa.
In questo clima di incertezza, essere positivi è roba da pazzi. Anche la solidarietà tra esseri umani è merce rara.
Lamentiamo che i politici siano esseri abominevoli ed egoisti, interessati solo al potere e ai soldi ma è triste sapere che anche nel piccolo, ognuno pensa solo al proprio interesse e poco gliene importa se un vicino sta morendo o sta male.
Quel famoso detto del mors tua vita mea che non è mai passato di moda.
Stefania Pascali