I loro nomi non sono passati alla storia, non sono state intitolate strade o piazze per esaltare le gesta di quei soldati mandati a combattere al fronte durante la Prima Guerra Mondiale.

Nessuno li ricorderà, eppure c’erano, e, indipendentemente dall’esercito di appartenenza, erano accomunati tutti dagli stessi sentimenti: l’amore per i familiari, la paura della morte, la voglia di tornare a casa e il senso di inutilità della guerra. Una guerra che coinvolse 65 milioni di uomini di 29 paesi, che combattevano tutti sotto uno stesso slogan, ovvero la difesa della libertà. E’ questo il monito, urlato spesso a gran voce dai generali, perché si imprimesse nella mente del popolo con tanta più forza quanto più grande era la menzogna e la bassezza dei fini reali. Uomini inneggiati dallo Stato e chiamati eroi ma considerati carne da macello.
Poco più di un secolo fa iniziò sulle sponde del Piave la “Battaglia del Solstizio”, così rinominata da Gabriele D’Annunzio, che si concluse con la ritirata austriaca segnando profondamente l’esito del primo conflitto mondiale.
Rosso del sangue del nemico altero, / il Piave comandò: “Indietro, va’, straniero!”
Indietreggiò il nemico / Fino a Trieste, fino a Trento, / e la Vittoria sciolse le ali del vento!

A due anni dal centenario della Grande Guerra l’attore Fabrizio Careddu ha voluto rendere omaggio alle vite che i soldati hanno sacrificato in trincea, cosa provavano davvero, cosa scrivevano alle loro famiglie e cosa cantavano. Tra quei soldati figuravano naturalmente anche i musicisti, molti dei quali continuarono a scrivere, a suonare, a cantare indipendentemente dalle condizioni di vita cui erano costretti. Provenienti da tutte le regioni i soldati si conobbero, condivisero emozioni e racconti, impararono a vicenda i canti delle terre di provenienza e, secondo la propria cultura popolare, adattarono parole e strofe alle esperienze che stavano vivendo. Per molti soldati che parlavano solo dialetto fu l’occasione di imparare l’italiano, per ognuno di loro la musica costituiva un’uscita di sicurezza per salvare la propria sensibilità, per continuare a dare un senso alla propria vita. Careddu vuole farci riflettere sul fatto che le ferite, il dolore, la fame inferte dalla guerra sono state così forti da far comprendere che non c’è salvezza senza aiuto reciproco e non c’è sopravvivenza senza solidarietà.

“Il Piave ci avvisò: è tuo fratello lo straniero”

“Il Piave ci avvisò: è tuo fratello lo straniero” é il titolo dello spettacolo inedito che sarà in scena a San Salvo, al Centro culturale “Aldo Moro”, il prossimo 25 e 26 gennaio. “Un piccolo viaggio di emozioni in cui sono inseriti anche alcuni brani pianistici, lettere e cartoline scritte in trincea su fronti diversi”, spiega Careddu, “per scoprire senza rendersene conto che passando da un fronte all’altro, italiani, francesi o ungheresi provavano le stesse emozioni. E forse alla fine comprenderemo che il nostro tanto osannato Piave in realtà è solo un fiume, nelle cui acque troppo sangue di troppe lingue si è mischiato perché potesse ancora mormorare con rabbia o con sfida alla difesa di un inutile confine, invece di scrosciare con forza fino ad emettere un urlo d’acqua per ricordarci che su questa terra non siamo nient’altro che fratelli”.

Serena Colecchia