Era una bella giornata di sole. Di quelle che ti svegli con il sorriso. A Roma cadevano le ultime impalcature del monumento al Padre della Patria nella nuovissima piazza Venezia. Si organizzano i primi festeggiamenti per il cinquantenario dell’Unità. Giolitti ritocca gli ultimi piani militari e politici per la conquista della Libia. Si respirava un’aria di ottimismo in città e noi avevamo voglia di divertirci. A teatro davano un nuovo spettacolo, un genere appena nato che rispondeva alle esigenze del popolo in quel momento. Decidiamo di andare. L’ingresso era a pagamento. Eravamo gente comune, non eravamo abituati a certi ambienti. Finalmente inizia lo show e ci divertiamo come pazzi. Non era per niente come lo avevamo immaginato, niente parole complicate, niente violini o papillon ma imitazioni di politici, spontaneità e tante risate. Da allora decidiamo di tornarci ogni weekend e ci portiamo tutta la famiglia, si perché per la prima volta si trattava di uno spettacolo adatto ad adulti e bambini. Alla fine dell’esibizione, se l’attore ci era piaciuto, applaudivamo, altrimenti no. C’erano quelli che erano una garanzia, che eravamo certi della loro bravura, altri ci provavano ma non sempre ci riuscivano. Però avevano tutti la stessa caratteristica, erano diversi dagli altri attori che avevamo visto finora. Avevano instaurato un legame unico con il pubblico, diretto e senza barriere. Si lasciavano andare alla critica mantenendo sempre un atteggiamento leggero, a volte anche improvvisando. Ognuno di loro si era creato il suo personaggio mentre i numeri cambiavano di sera in sera. Eravamo così elettrizzati ed entusiasti. Quando tornavamo a casa nostro figlio ci diceva, “Quanto è bello il varietà!”.

E infatti era così. Una cosa, comunque, l’avevamo capita: era nato un genere destinato a non tramontare più.

Serena Colecchia

 

Foto: gastonemariotti.com